le motivazione per avere un guardaroba sostenibile per te e il pianeta

Silva Bucci Professional Organizer

Guardaroba sostenibile: perché partire

 

Te lo ricordi “No logo” di Naomi Klein? È stato uno dei primissimi libri (era il 2001!) a denunciare lo strapotere delle multinazionali nelle vite e nei consumi e il fenomeno della delocalizzazione, cioè il fatto che le grandi marche spostavano le produzioni in quei paesi in via di sviluppo, dove non c’erano salari minimi, né sindacati e i controlli sulle condizioni dei lavoratori erano scarsi o completamente assenti.

La delocalizzazione ha avuto conseguenze pesantissime non solo sui paesi divenuti produttori, ma anche nei distretti tessili e manifatturieri occidentali (e italiani) che si videro improvvisamente svuotare, con tutto quello che ne consegue a livello economico, sociale, politico.

No logo mi cambiò molto

Probabilmente avevo un animo già sensibile a questi argomenti ma la lettura di fatti e processi mi diede la spinta per iniziare un cambiamento più importante. A No logo si aggiunse, come ulteriore fattore di consapevolezza, la conoscenza di ciò che succedeva nelle fabbriche indiane, cinesi, del Banglesh o del Vietnam, tutti queli luoghi (ma ce ne sono molti altri) in cui i grandi brand avevano spostato la produzione. Ho iniziato a leggere e informarmi sulle conseguenze del fast fashion, la moda veloce, tutti quei capi che noi acquistiamo, spesso in modo compulsivo, a cifre bassissime ma che hanno costi estremamente alti per chi le produce. Ti ricordo una delle vicende più, purtroppo note, quella della tragedia del Rana Plaza a Dacca, in Bangladesh: più di 1000 persone morirono e altrettante sono rimaste ferite e mutilate, nel crollo di una fabbrica fatiscente in cui, senza nessuna sicurezza, si producevano capi per marchi notissimi come Benetton, Gap, Mango, Primark e altri. Pensa che già alcuni giorni prima del crollo (il 24 aprile 2013) molti lavoratori avevano denunciato crepe e instabilità dell’edificio, ma non solo non vennero ascoltati, addirittura vennero minacciati di licenziamento se avessero osato lasciare il posto di lavoro a causa di queste fatti (ci sono molti articoli da leggere per approfondire, questo tra gli altri ti dà una buona panoramica del fatto). 

Questa tragedia è stata fondamentale per sensibilizzare l’opinione pubblica e far nascere movimenti come quello dello slow fashion e della fashion revolution. Un’altra conseguenza pesante del fast fashion è l’impatto ambientale: pensa che questo modo di fare moda  è responsabile del 10 per cento dell’inquinamento globale, aggiudicandosi il secondo posto come settore più inquinante al mondo, dopo quello petrolifero.

Cosa c’entra con  il mio lavoro…

Forse mi chiederai “Ok, Silva, ma questo cosa c’entra con il tuo lavoro e organizzare l’armadio?” C’entra eccome! Eh sì, perchè se hai letto altri miei articoli ( se non lo hai fatto, te lo dico ora e puoi recuperare partendo dal mio ultimo post) saprai che uno degli aspetti per me fondamentali per una vita serena e organizzata è quello della leggerezza: poche cose ben fatte, ben gestite e ben valorizzate. Con un “bagaglio” leggero, sono sicura che concorderai con me, si viaggia molto meglio, nella vita e non solo sui treni.

Quindi quando faccio delle scelte voglio che siano il più leggere possibile anche per il pianeta, sia in termini di valori umani che ambientali. 

Non ti nascondo che anche io in varie fasi della mia vita sono stata fan del fast fashion, ammetto di aver acquistato nelle famose catene che vendono capi carini a prezzi relativamente bassi, ma poi ho messo un punto a tutto ciò.

La mia volontà di seguire questo percorso si è ulteriormente rafforzata  conoscendo persone come Stefania Pelloni della Sartoria Creativa Emotiva e Valentina Amoroso di “Come le ciliegie” che ho coinvolto nelle mie ultime dirette su Instagram (che trovi qui) e che mi hanno aiutato ad agire per dare più valore al mio armadio,  scegliendo capi artigianali ben fatti, in tessuti naturali, con una filiera produttiva corta e trasparente. Costano di più? No, perchè anzichè acquistare 10 o più capi a poco prezzo e di poco valore, che l’anno dopo ti ritroverai a dover ricomprare, acquisterai alcuni capi di ottima fattura e buoni tessuti che ti sanno valorizzare e ti dureranno nel tempo.

Una cosa tengo sempre a mente: se qualcosa costa poco (a me) è perchè qualcuno o qualcosa paga costi altissimi, possono essere persone, animali, ambiente, che da qualche parte, spesso molto ben nascosta da abili manovre di marketing e greenwashing, soffrono le conseguenze delle mie scelte. Diciamoci la verità: per una maglietta carina a 6 euro che userai per una stagione (o meno), il gioco vale la candela?

Un’altra cosa che ho letto tanto tempo fa e che non dimentico è che l’unica forma di vera democrazia che ci è rimasta è scegliere come spendere i nostri soldi e l’informazione e la consapevolezza sono le nostre alleate per poter fare le scelte giuste in linea con i nostri valori.

Valentina di Come le ciliegie durante la mia intervista ha detto una cosa bellissima: rendiamoci consapevoli dell’energia di quello che abbiamo nell’armadio e di quello che indossiamo (e tu sai che io sono d’accordissimo, lo penso anche per gli oggetti che abbiamo in casa!). Valentina ha spiegato che se indossiamo un capo di cui conosciamo la provenienza, confezionato da persone che sono tutelate e pagate il giusto, capi realizzati con cura, stile e con una loro storia, allora l’energia che emanano non può che essere positiva e farci stare bene.

Bene: ora che ti ho spiegato le motivazioni non resta che mettersi all’opera! Come fare a rendere davvero  sostenibile, bello, leggero e ovviamente organizzato il nostro armadio? Te lo spiego nel prossimo articolo!

Silva Bucci Professional Organizer / 16 Marzo 2021

Foto di Ksenia Chernaya da Pexels

Guardaroba sostenibile: perché partire

 

Te lo ricordi “No logo” di Naomi Klein? È stato uno dei primissimi libri (era il 2001!) a denunciare lo strapotere delle multinazionali nelle vite e nei consumi e il fenomeno della delocalizzazione, cioè il fatto che le grandi marche spostavano le produzioni in quei paesi in via di sviluppo, dove non c’erano salari minimi, né sindacati e i controlli sulle condizioni dei lavoratori erano scarsi o completamente assenti.

La delocalizzazione ha avuto conseguenze pesantissime non solo sui paesi divenuti produttori, ma anche nei distretti tessili e manifatturieri occidentali (e italiani) che si videro improvvisamente svuotare, con tutto quello che ne consegue a livello economico, sociale, politico.

No logo mi cambiò molto

Probabilmente avevo un animo già sensibile a questi argomenti ma la lettura di fatti e processi mi diede la spinta per iniziare un cambiamento più importante. A No logo si aggiunse, come ulteriore fattore di consapevolezza, la conoscenza di ciò che succedeva nelle fabbriche indiane, cinesi, del Banglesh o del Vietnam, tutti queli luoghi (ma ce ne sono molti altri) in cui i grandi brand avevano spostato la produzione. Ho iniziato a leggere e informarmi sulle conseguenze del fast fashion, la moda veloce, tutti quei capi che noi acquistiamo, spesso in modo compulsivo, a cifre bassissime ma che hanno costi estremamente alti per chi le produce. Ti ricordo una delle vicende più, purtroppo note, quella della tragedia del Rana Plaza a Dacca, in Bangladesh: più di 1000 persone morirono e altrettante sono rimaste ferite e mutilate, nel crollo di una fabbrica fatiscente in cui, senza nessuna sicurezza, si producevano capi per marchi notissimi come Benetton, Gap, Mango, Primark e altri. Pensa che già alcuni giorni prima del crollo (il 24 aprile 2013) molti lavoratori avevano denunciato crepe e instabilità dell’edificio, ma non solo non vennero ascoltati, addirittura vennero minacciati di licenziamento se avessero osato lasciare il posto di lavoro a causa di queste fatti (ci sono molti articoli da leggere per approfondire, questo tra gli altri ti dà una buona panoramica del fatto). 

Questa tragedia è stata fondamentale per sensibilizzare l’opinione pubblica e far nascere movimenti come quello dello slow fashion e della fashion revolution. Un’altra conseguenza pesante del fast fashion è l’impatto ambientale: pensa che questo modo di fare moda  è responsabile del 10 per cento dell’inquinamento globale, aggiudicandosi il secondo posto come settore più inquinante al mondo, dopo quello petrolifero.

Cosa c’entra con  il mio lavoro…

Forse mi chiederai “Ok, Silva, ma questo cosa c’entra con il tuo lavoro e organizzare l’armadio?” C’entra eccome! Eh sì, perchè se hai letto altri miei articoli ( se non lo hai fatto, te lo dico ora e puoi recuperare partendo dal mio ultimo post) saprai che uno degli aspetti per me fondamentali per una vita serena e organizzata è quello della leggerezza: poche cose ben fatte, ben gestite e ben valorizzate. Con un “bagaglio” leggero, sono sicura che concorderai con me, si viaggia molto meglio, nella vita e non solo sui treni.

Quindi quando faccio delle scelte voglio che siano il più leggere possibile anche per il pianeta, sia in termini di valori umani che ambientali. 

Non ti nascondo che anche io in varie fasi della mia vita sono stata fan del fast fashion, ammetto di aver acquistato nelle famose catene che vendono capi carini a prezzi relativamente bassi, ma poi ho messo un punto a tutto ciò.

La mia volontà di seguire questo percorso si è ulteriormente rafforzata  conoscendo persone come Stefania Pelloni della Sartoria Creativa Emotiva e Valentina Amoroso di “Come le ciliegie” che ho coinvolto nelle mie ultime dirette su Instagram (che trovi qui) e che mi hanno aiutato ad agire per dare più valore al mio armadio,  scegliendo capi artigianali ben fatti, in tessuti naturali, con una filiera produttiva corta e trasparente. Costano di più? No, perchè anzichè acquistare 10 o più capi a poco prezzo e di poco valore, che l’anno dopo ti ritroverai a dover ricomprare, acquisterai alcuni capi di ottima fattura e buoni tessuti che ti sanno valorizzare e ti dureranno nel tempo.

Una cosa tengo sempre a mente: se qualcosa costa poco (a me) è perchè qualcuno o qualcosa paga costi altissimi, possono essere persone, animali, ambiente, che da qualche parte, spesso molto ben nascosta da abili manovre di marketing e greenwashing, soffrono le conseguenze delle mie scelte. Diciamoci la verità: per una maglietta carina a 6 euro che userai per una stagione (o meno), il gioco vale la candela?

Un’altra cosa che ho letto tanto tempo fa e che non dimentico è che l’unica forma di vera democrazia che ci è rimasta è scegliere come spendere i nostri soldi e l’informazione e la consapevolezza sono le nostre alleate per poter fare le scelte giuste in linea con i nostri valori.

Valentina di Come le ciliegie durante la mia intervista ha detto una cosa bellissima: rendiamoci consapevoli dell’energia di quello che abbiamo nell’armadio e di quello che indossiamo (e tu sai che io sono d’accordissimo, lo penso anche per gli oggetti che abbiamo in casa!). Valentina ha spiegato che se indossiamo un capo di cui conosciamo la provenienza, confezionato da persone che sono tutelate e pagate il giusto, capi realizzati con cura, stile e con una loro storia, allora l’energia che emanano non può che essere positiva e farci stare bene.

Bene: ora che ti ho spiegato le motivazioni non resta che mettersi all’opera! Come fare a rendere davvero  sostenibile, bello, leggero e ovviamente organizzato il nostro armadio? Te lo spiego nel prossimo articolo!

Silva Bucci Professional Organizer / 16 Marzo 2021

Foto di Ksenia Chernaya da Pexels